La Madonna del Granato – Getsemani
17 luglio 2008
Nel nostro peregrinare per le strade del Cilento nei dintorni di Agropoli, dopo aver preso visione da un sito della strada da percorrere (Da Capaccio Scalo (18 m.) si percorre in auto la statale n. 166, denominata nel primo tratto "rettifilo", fino ad un bivio dove sulla destra comincia un'agevole salita che porta al centro abitato di Capaccio. Dopo circa 2 km, prima di giungere a Capaccio, in un tornante, sulla sinistra si imbocca una stretta stradina a mezza costa che giunge fino al Santuario della Madonna del Granato.) il primo problema fu “trovare” la 166. Pensammo che sulla statale 18 avremmo trovato indicazioni… Ah, ah, ah!
La percorremmo fino a Ponte Barizzo poi, sfiduciati, tornammo indietro fino a Capaccio Scalo, non dalla statale per fortuna, dove cercammo informazioni dai locali VV. UU. il cui ufficio era desolatamente vuoto. Fuori un signore ci apostrofò “Ma che no sapite che chist’è l’ora do café? Che vulite?”
Andare a Roccadaspide.
“Ah! O verite quel ponde? Andato da sotto a quel pondo e facite ‘o rettifilo e po sempre addritto.”
Grazie!
Avevamo, all’andata, saltato sto ciccillo di “rettifilo”. La vecchia Tipo ci portò senza sforzo sul Rettifilo Vannullo che poi diventò via Sandro Pertini e poi via Petrale e poi… NO! Una freccia: VIA PROVINCIALE 13 Capaccio. Alleluja, ci immettiamo fiduciosi ed in effetti dopo alcuni chilometri, ad un tornante, Monica lanciò un gridolino “Il Santuario, il Santuario!”.
Inchiodai la Tipo ed imboccai, guarda un po’, via Madonna del Granato.
Sali che ti Sali, notammo sulla destra una stradina che si intrufolava tra gli ulivi e una tabella:
RISTORANTE
IL GIARDINO
DI BACCO
Archiviammo tale posto e continuammo a salire fino a raggiungere (evviva) il Santuario sul monte Calpazio.
Parcheggiammo sulla piazzola antistante e salimmo ancora verso la chiesa dalla facciata colorata di rosa.
Entrammo e sorpresa! Per la prima volta vedevamo una chiesa costruita in salita anch’essa.
Il pavimento segue la conformazione della cima su cui era costruita con l’altare a monte.
Sul sito sorgeva un tempio dedicato a Hera cui sacro era il melograno sui cui resti fu costruita la Cattedrale. Si conserva un frammento, all’ingresso dell’antico pavimento romanico.
Dai suoi 243 m.s.l.m. domina al Piana del Sele ed il Golfo di Salerno, vista spendida guastata però da non so quante antenne attacate ad un traliccio,
Arte contemporanea, bah!
Un brintolio improvviso parve annunciare un imminente temporale, ma la buona Monica mi fece notare che era il luogo deputato alla pappa che protestava.
Vista l’ora decidemmo di proseguire verso Capaccio per cercare da mangiare ma l’impresa fu ardua e tornammo con le pive nel sacco giù per i tornanti verso quel ristorante notato un’oretta prima.
Ci fermammo un momento ad ammirare il costone della montagna quando notai una scritta sul retro del cartello che informa che quella che stavamo calpestando è proprietà privata: Quì lavora Catia la putana putannissima.
Insomma…
E’ comune sentire che la fame è lunga ed infatti i pochi chilometri che ci dividevano dal ristorantino visto all’andata sembravano non finire mai!
Come Dio volle, arrivammo finalmente colà dove ristoraci dalle fatiche turistiche.
Il nome è una garanzia, per… Bacco!
Fummo accolti nel giardino da un simpatico cameriere che ci dichiarò “Scommetto che siete qui per mangiare. Ho indovinato?” e ci accompagnò al tavolo sotto un gazebo sotto un ulivo.
Subito una birra per dissetare il corpo disidratato e poi… la pappa.
La foto non rende giustizia dell’antipasto “della casa” da sei portate.
Seguirono melanzane e zucchine arrosto, involtini di melanzane, zucchine all’aceto, fiori di zucca fritti, peperonata, polpettine alla menta e poi agnolotti alla ricotta di bufala e pomodoro fresco ed io, ormai preso dall’orgia gustatoria, ho fotografato le portate nella mia memoria cialtrona ma questo complesso macchinario, compendio di tecnologia, non “legge” no, dice che devo aprire il file col programma adatto. Maledetto Bill!
Ormai satolli ci dedicammo all’osservazione del posto in cui eravamo, comodamente seduti su di una panchina che guarda al mare, a pochi chilometri, e a Capri.
"... e seduto all'ombra,
col cuore ben sazio di cibo,
bevici sopra vino scintillante,
volgendo il viso al soffio
vivificante di Zefiro
e da una fonte che
eternamente zampilla ..."
(Esiodo)
Infatti, memore di ciò che il buon Esiodo scrisse, mi feci graziosamente portare un bicchier di “vino scintillante” come il mare e fresco come la brezza che scende dal monte, ammaliati dalla veduta.
Pure io mi ammaliai gravemente e ditemi come si può, diomio, non commuoversi alla vista di tale capolavoro semovente anni 50/60 la mitica 1100 Fiat, anzi, Nuova 1100 Fiat.
Ma guardate che differenza tra il virile muso della 1100 bello, potente, un ghigno “motifacciovedereiomò!” rispetto a quello *bleah* moderno dell’auto in secondo piano, anonimo e di serie, ed il vezzoso particolare, fiducioso nel bum economico.
Il cambio al volante, il sedile anteriore unico, all’americana, i due quadranti dietro al volante, la portiera “pro vento” che permetteva a noi giovincelli affacciati alle soglie della pubertà, di sbirciare le cosce delle poche donne che ci salivano. Ah!
Pensai troppo forte però, perché Monica aveva inteso i miei pensieri da vecchio “Porco” infatti disse la sua boccuccia ed il suo spigoloso gomito all’unisono.
Aniello, il cameriere, poco prima ci aveva consigliato una visita al Getsemani di Paestum, un altro santuario molto bello e particolare sulla stessa strada un po’ più a valle.
Sollecitato sulla “particolarità” di questa casa di spiritualità, Aniello rifiutò qualsivoglia informazione
stimolando ancor di più la nostra curiosità.
Riprendemmo quindi a scendere la china alla ricerca del santuario che trovammo chiuso con delusione nostra e di una famiglia romana che sedeva delusa alle panchine del parco pietosamente guardati dalla Madonna della Luna statua in bronzo sul piazzale.
Eh ma la mia Monica è una donna piena di risorse.
Zompettando allegramente suona il campanello e, miracolo, chi ci apre è don Qualcuno (i nomi, diomio, i nomi dimenticati) un lumbàrd che riconoscendo in Monica altra lumbàrd verace aprì immediatamente la porta anche se fuori orario. Non è vero, don Coso fu veramente gentilissimo e ci accompagnò sin nella chiesa superiore dalle splendide vetrate che dall’esterno non parevano proprio.
Infatti è dentro la cupola che la meraviglia ti cattura, con le vetrate multicolori rappresentanti figure sante.
Scendendo nella cripta persino un miscredente come me fu conquistato dal luogo: la statua del Cristo orante illuminato da una luce particolare che proveniva dall’alto della cupola e dalle lampade inserite in anfore rende l’ambiente adatto a quel famoso “timor di Dio” atto a farti sentire piccolo piccolo e a complimentarti coi preti, capaci di creare atmosfere particolari usando sapientemente le proporzioni, i numeri eccetera, mica fessi.
Fuori il “solito” panorama meraviglioso del golfo di Salerno, dalla costiera amalfitana e l'isola di Capri fino al promontorio di Agropoli.
La giornata fu sicuramente piena di emozioni e come sempre volgeva al termine.
Riprendemmo la discesa che ci avrebbe portato ad una rinfrescante doccia, questa volta in folle per godere del frinire delle cicale, quando udii delle grida di richiamo. Fermai l’auto ed ecco che vidi due “pazzi” in parapendio che si urlavano in dialetto con l’eco che riportava indietro le loro parole distorte al punto che sembravano richiami di uccelli preistorici.
Sì una giornata piena.
Tornammo a casa in tempo per questo splendido tramonto sulla baia di Trentova, verso Capri.