venerdì 29 agosto 2008

IGNORO IL MIO SENTIERO

…nel mattatoio
dell’indifferenza io
mi spengo piano…



Ignoro il mio sentiero.
Se serberò memoria del sole
o dei miei passi
su questa barcaccia
di prati verdi e sassi.
Non so se smarrirò
le sillabe che lascio,
spoglie di suoni qui
dove il bisbiglio diventa
urlo forte di gemme
appena sbocciate
e subito cadute.
Io non so il mio posto
nello spettacolo del meriggio
né ho traccia di canovacci da seguire.
Attore senza trama
suono troppo debole
mi spengo
piano
nell’indifferenza.

giovedì 28 agosto 2008

Marina di Vernole













Ma tu pensa si fano centinaia o migliaia di chilometri per cercare posti "incontaminati e poi casualmente vicino casa tua ne trovi uno... così!

Dopo aver fatto gli scongiuri del caso, ci siamo tuffati su ed in quel mare di sabbia ed acqua azzurra.

Che posto cari amici vicini.

E che pasti, cari amici lontani.

Sorvolo sul polpo in insalata con carotine e peperoni alla julienne al profumo di menta e al sarago pizzuto arrosto che ho osservato prima e mangiato poi in religioso silenzio, CFM (causa forza maggiore, io sono solo capitàno ed eseguo gli ordini del superiore stomaco, cose che càpitano).

Il rumore della risacca sulla spiaggia accompagna il pranzo degnamente come l'odore di salsedine perfettamente amalgamati negli aromi delle pietanze e del vino bianco del Salento, vero nettare degli Dei (quelli con la maiuscola).

Ma le vacanze non finiscono mai si chiederà qualcuno? Embè? Al mondo c'è chi può e chi non può, io può!

venerdì 22 agosto 2008

quasi vent'anni




QUASI VENT’ANNI




Eccolo là, capello riccio d’accarezzare, il baffo nero come la notte dei tempi. E già, quei tempi… Come si dice quando si vuol far gli intellettuali poliglotti? Ah si… ’I remember che erano tempi duri.
Allora c’era la lira, ve la rememberate la lira? Beh, già allora avevo delle amnesie su quella moneta che poco sostava nelle mie tasche!
Un po’ perché erano affette dalla sindrome dell’evasione, l’altro po’ perché scoprii una certa affinità con quel tale barba lunga finito con piedi e mani bucate… come le mie.
E le lunghe serate invernali a tremolare come le stelle nel cielo terso dal freddo pungente che non sembrava tale.
E i jeans a zampa di elefante che noi provincialotti dicevamo alla “Celentano”,
marca Roy Rogers e i medaglioni con stampati i titoli delle canzoni… io, sì anch’io, ne avevo uno con un bel “Sono Tremendo!” rosso scarlatto su fondo giallo canarino mai messo per vergogna? Timidezza? Mah!
E, parafrasando Baglioni, le lunghe corse affannate dietro alle “pucciuedde” (ragazze) tutte timorate di Dio e noi maschietti invece grandi scopatori.
E l’aria da bambino che mi chiedevano la carta d’identità al cinema per sospirare con la mitica Moana.
Si faceva sesso virtuale già allora ma, nell’improbabile caso accadesse, eravamo, ero, pronto.
Infatti la prima volta (ma non ditelo a nessuno neh!) fu TRAGICA, punto.
E non era nemmeno domenica. Ed amare erano le lacrime, amare.
E le partite a biliardino e le suonate stonate del caro vecchio Lucio e Faber e Francesco Er Meetico De Gregori… “ma tutto questo Alice non lo sa”.
Il Ciao Piaggio, straordinario mezzo su cui posavo le mie ciapètt e con cui posavo manco avessi una Ducati Scrambler 350, il mio sogno giovane.
E poi la Cinquecento rossa corallo e intanto il tempo passa e non ritorna più…
Vent’anni gente, “e vent’anni sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più”.
Eh!
E mi ricordo, infatti, un pomeriggio allegro / io e il mio amico specchio delle mie brame famoso illusionista / dal quale mi guardava uno strano individuo/con moglie e tre figli e il mutuo da pagare/ si presentarono i miei cinquant’anni/ e il contratto scaduto col prete e…. E io risi, io risi, io risi come un matto.
E rido ancora.










mercoledì 20 agosto 2008

CUKI, sempre lui.









2 AGOSTO 2008

Lo scodinzolo della bestia ci accompagna mentre infiliamo in auto il necessario per la prima giornata di mare giù a Trentova.
Come l’equipaggio di un aereo elenchiamo le cose da mare messe nel cofano della vecchia Tipo Fiat tuuutta contenta della vacanza: ombrellone… OK; zaino con costumi di ricambio e teli spiaggia… OK; borsa termica con una bottiglia da cinquecento ciccì di acqua minerale frizzante, una di chinotto san pellegrino più una di aranciata senza zuccheri aggiunti… OK; ghiaccio finto per borsa termica di cui sopra… OK! Ma insomma!
Sono passate da poco le otto del mattino ma la spiaggia, quella libera, è già piuttosto affollata al contrario del lido li a fianco (PUH!) quasi deserto.
Piantiamo l’umbrelùn nella sabbia umida e urgentemente in acqua che il richiamo atavico del grembo materno era così impellente che a momenti ce la facevamo addosso!
Il contatto della fresca acqua del Tirreno sulla pelle è godurioso veramente.
I muscoli erettori dei peli sono in piena attività ed è una sensazione mmm ecco!
Alle undici si torna a casa che il sole diobono è assolutamente ligio al suo dovere di… sole!
Infatti la scarpinata sino all’auto non è certo tra le più semplici.
Sono chiarissime le tracce che lasciamo sull’asfalto che si attacca alle ciabatte: lasciamo dietro noi una scia di sudore e questo mondo tremolante nella calura. Le musiche di Ennio Morricone enfatizzano l’azione.
“Buona la prima” dice il regista (io) e ci infiliamo nel forno crematorio della Tipo adattata alla bisogna che ora si gira un documentario tipo “Diocleziano e le persecuzioni ai cristiani”un’estate al mare.
A casa mi attacco alla bottiglia battendo il record mondiale di apnea fuori dall’acqua, l’acqua era “dentro” bevuta a cannella con sommo piacere dell’esofago e quant’altro.
Cuki appare, silenzioso fantasma color biondo miele, salutandoci caninamente.
Il furbastro ha sentito rumor di stoviglie ed è arrivato tomo tomo, a reclamare parte del rancio che il sottoscritto prepara con un delizioso grembiulino attorno alla vita (rosa e coi cuoricini! ;-) Dopo aver annusato l’aria ed aver deciso che il menu era di suo gradimento si accuccia leccandosi come da foto.

Insomma ci vuole il tempo che ci vuole per cuocere pasta e sughetto ed il canis bastardensis volge lo sguardo lontano, aspettando fiducioso.

Poteva tanta fiducia negli esseri umani non essere premiata? Certamente no ed ecco la sua brava ciotola di cibo che viene divorata in un battibaleno.
Abbaiando un ringraziamento ecco che il nostro si allontana ed è spettacolare guardarlo mentre osserva il vasto mare ed il lontano orizzonte cogitando sulle canine cose.

Deve aver risolto alcuni problemi esistenziali il nostro Cuki visto che dopo un po’ si dedicò alla sua vera specialità! Si dice che il pensare stanca…







martedì 19 agosto 2008





CUKI 1

2 AGOSTO 2007


Primo giorno di vacanza.
Un po’ di tempo da dedicare alla contemplazione del mare e del cielo, delle rondini e dei gabbiani, delle api il ronzio attorno alla siepe.
Ascoltare il muggito lontano della bufala o il tuono brontolare sul monte Stella.


Alle sei del mattino sono già in giardino a respirare l’aria frizzante odorosa di mare che, seicento e passa metri più a valle, sembra liscio come l’olio
Tabula rasa sciupata dalle scie di qualche mattiniero turista in barca; Capri è laggiù a più di quaranta miglia, sembra sospesa sul banco di nebbia che copre l’orizzonte.
Tutto è silenzio ed in effetti “s’annega il pensier mio” all’illimitato spazio davanti a me ed io, piccolo uomo, naufrago dolcemente in questo mare.


Sento toccarmi una gamba, ero talmente contemplativo che non ho sentito Cuki il bastardo conosciuto un anno fa qui e rimasto nel nostro cuore e noi nel suo.
Cuki col suo naso bagnato mi invita al gioco e abbiamo giocato rincorrendoci sull’erba ancora umida dal temporale di ieri, catturandoci a vicenda, mozzicandoci persino e lui era cane ed io ero cane e abbiamo ringhiato insieme ed abbaiato, ed ululato al volo delle rondini finche la mia “umanità” ha avuto la meglio e, stanco morto, mi ha “stoppato” sull’erba fresca con il Cuki che mi guarda scodinzolando e mugolando.
“Sono dispiacente, ma uncelafopiù caro amico a quattro zampe”. Lui parve capire e mi si accuccia accanto, la testa appoggiata sulla coscia.
E’ piacevole per entrambi stare all’ombra della casa, anche se tra poco il sole farà capolino dal tetto e addio frescura ma…osti son le sette e mi aspetta il caffè, saluto Cuki che mi guarda sorpreso e corro dentro.
Monica dorme ancora.
La sveglierò con l’aroma del caffè ed un bacio.

giovedì 7 agosto 2008

PAESTUM






























PAESTUM

11 luglio 2008


Se perfino mostri sacri della letteratura come Ungaretti, Goethe, Tasso, Nietzsche hanno in endecasillabi, versi sciolti od impressioni, magnificato Paestum significa che l’antica Poseidonia lascia un segno profondo in tutti coloro che la visitano guardando oltre la fredda pietra dei templi, immaginando le case, le strade, le botteghe piene di gente affaccendata nelle incombenze giornaliere, indaffarata nei compiti giornalieri che ognuno aveva.
Allora si vedranno vite diafane, immateriali figure battere il ferro o portare l’acqua, assistere ai riti propiziatori nei templi di Hera o a tragedie nell’anfiteatro.
Lo scalpiccio dei piedi grandi e piccoli, calzati o no, che hanno calpestato e consumato per secoli le strade della città, ridendo e piangendo, odiando ed amando diventerà udibile dalle profondità del tempo dove pare debba finire questa perla dell’antichità lasciata languire e soffocare da amministratori de-efficienti sotto erbacce ed incuria.
Ma nemmeno le malerbe riescono a domare la maestosità delle colonne Doriche della Basilica o del tempio di Nettuno che da più di duemila anni guardano ad est, a quel sole sorgente di vita che vita diede a questo posto.
Peccato che, insensibile alla Storia ed alle sue origini, l’uomo contemporaneo cerchi in ogni modo di dimenticare il suo passato.Che futuro mai avrà l’uomo senza passato?
La delusione fu tale che disertammo la solita pizzeria (pizza anche a pranzo) Taverna del Parco, per un piu' prosaico ed economico pranzo al "nido di Mar&Mon" a base penne allo spek profumate di basilico e scaloppa di pollo alla birra e rosmarino.
Questa volta il liquido utilizzato per bagnare il tutto fu un'ottima Peroni gran riserva.
Ecco il degrado, non c’è bisogno di parola alcuna.









martedì 5 agosto 2008











































La Madonna del Granato – Getsemani

17 luglio 2008



Nel nostro peregrinare per le strade del Cilento nei dintorni di Agropoli, dopo aver preso visione da un sito della strada da percorrere (Da Capaccio Scalo (18 m.) si percorre in auto la statale n. 166, denominata nel primo tratto "rettifilo", fino ad un bivio dove sulla destra comincia un'agevole salita che porta al centro abitato di Capaccio. Dopo circa 2 km, prima di giungere a Capaccio, in un tornante, sulla sinistra si imbocca una stretta stradina a mezza costa che giunge fino al Santuario della Madonna del Granato.) il primo problema fu “trovare” la 166. Pensammo che sulla statale 18 avremmo trovato indicazioni… Ah, ah, ah!
La percorremmo fino a Ponte Barizzo poi, sfiduciati, tornammo indietro fino a Capaccio Scalo, non dalla statale per fortuna, dove cercammo informazioni dai locali VV. UU. il cui ufficio era desolatamente vuoto. Fuori un signore ci apostrofò “Ma che no sapite che chist’è l’ora do café? Che vulite?”
Andare a Roccadaspide.
“Ah! O verite quel ponde? Andato da sotto a quel pondo e facite ‘o rettifilo e po sempre addritto.”
Grazie!
Avevamo, all’andata, saltato sto ciccillo di “rettifilo”. La vecchia Tipo ci portò senza sforzo sul Rettifilo Vannullo che poi diventò via Sandro Pertini e poi via Petrale e poi… NO! Una freccia: VIA PROVINCIALE 13 Capaccio. Alleluja, ci immettiamo fiduciosi ed in effetti dopo alcuni chilometri, ad un tornante, Monica lanciò un gridolino “Il Santuario, il Santuario!”.
Inchiodai la Tipo ed imboccai, guarda un po’, via Madonna del Granato.
Sali che ti Sali, notammo sulla destra una stradina che si intrufolava tra gli ulivi e una tabella:

RISTORANTE
IL GIARDINO
DI BACCO

Archiviammo tale posto e continuammo a salire fino a raggiungere (evviva) il Santuario sul monte Calpazio.
Parcheggiammo sulla piazzola antistante e salimmo ancora verso la chiesa dalla facciata colorata di rosa.
Entrammo e sorpresa! Per la prima volta vedevamo una chiesa costruita in salita anch’essa.
Il pavimento segue la conformazione della cima su cui era costruita con l’altare a monte.
Sul sito sorgeva un tempio dedicato a Hera cui sacro era il melograno sui cui resti fu costruita la Cattedrale. Si conserva un frammento, all’ingresso dell’antico pavimento romanico.

Dai suoi 243 m.s.l.m. domina al Piana del Sele ed il Golfo di Salerno, vista spendida guastata però da non so quante antenne attacate ad un traliccio,
Arte contemporanea, bah!
Un brintolio improvviso parve annunciare un imminente temporale, ma la buona Monica mi fece notare che era il luogo deputato alla pappa che protestava.
Vista l’ora decidemmo di proseguire verso Capaccio per cercare da mangiare ma l’impresa fu ardua e tornammo con le pive nel sacco giù per i tornanti verso quel ristorante notato un’oretta prima.
Ci fermammo un momento ad ammirare il costone della montagna quando notai una scritta sul retro del cartello che informa che quella che stavamo calpestando è proprietà privata: Quì lavora Catia la putana putannissima.
Insomma…

E’ comune sentire che la fame è lunga ed infatti i pochi chilometri che ci dividevano dal ristorantino visto all’andata sembravano non finire mai!
Come Dio volle, arrivammo finalmente colà dove ristoraci dalle fatiche turistiche.
Il nome è una garanzia, per… Bacco!
Fummo accolti nel giardino da un simpatico cameriere che ci dichiarò “Scommetto che siete qui per mangiare. Ho indovinato?” e ci accompagnò al tavolo sotto un gazebo sotto un ulivo.
Subito una birra per dissetare il corpo disidratato e poi… la pappa.
La foto non rende giustizia dell’antipasto “della casa” da sei portate.
Seguirono melanzane e zucchine arrosto, involtini di melanzane, zucchine all’aceto, fiori di zucca fritti, peperonata, polpettine alla menta e poi agnolotti alla ricotta di bufala e pomodoro fresco ed io, ormai preso dall’orgia gustatoria, ho fotografato le portate nella mia memoria cialtrona ma questo complesso macchinario, compendio di tecnologia, non “legge” no, dice che devo aprire il file col programma adatto. Maledetto Bill!
Ormai satolli ci dedicammo all’osservazione del posto in cui eravamo, comodamente seduti su di una panchina che guarda al mare, a pochi chilometri, e a Capri.

"... e seduto all'ombra,
col cuore ben sazio di cibo,
bevici sopra vino scintillante,
volgendo il viso al soffio
vivificante di Zefiro
e da una fonte che
eternamente zampilla ..."
(Esiodo)

Infatti, memore di ciò che il buon Esiodo scrisse, mi feci graziosamente portare un bicchier di “vino scintillante” come il mare e fresco come la brezza che scende dal monte, ammaliati dalla veduta.
Pure io mi ammaliai gravemente e ditemi come si può, diomio, non commuoversi alla vista di tale capolavoro semovente anni 50/60 la mitica 1100 Fiat, anzi, Nuova 1100 Fiat.
Ma guardate che differenza tra il virile muso della 1100 bello, potente, un ghigno “motifacciovedereiomò!” rispetto a quello *bleah* moderno dell’auto in secondo piano, anonimo e di serie, ed il vezzoso particolare, fiducioso nel bum economico.
Il cambio al volante, il sedile anteriore unico, all’americana, i due quadranti dietro al volante, la portiera “pro vento” che permetteva a noi giovincelli affacciati alle soglie della pubertà, di sbirciare le cosce delle poche donne che ci salivano. Ah!
Pensai troppo forte però, perché Monica aveva inteso i miei pensieri da vecchio “Porco” infatti disse la sua boccuccia ed il suo spigoloso gomito all’unisono.
Aniello, il cameriere, poco prima ci aveva consigliato una visita al Getsemani di Paestum, un altro santuario molto bello e particolare sulla stessa strada un po’ più a valle.
Sollecitato sulla “particolarità” di questa casa di spiritualità, Aniello rifiutò qualsivoglia informazione
stimolando ancor di più la nostra curiosità.
Riprendemmo quindi a scendere la china alla ricerca del santuario che trovammo chiuso con delusione nostra e di una famiglia romana che sedeva delusa alle panchine del parco pietosamente guardati dalla Madonna della Luna statua in bronzo sul piazzale.
Eh ma la mia Monica è una donna piena di risorse.
Zompettando allegramente suona il campanello e, miracolo, chi ci apre è don Qualcuno (i nomi, diomio, i nomi dimenticati) un lumbàrd che riconoscendo in Monica altra lumbàrd verace aprì immediatamente la porta anche se fuori orario. Non è vero, don Coso fu veramente gentilissimo e ci accompagnò sin nella chiesa superiore dalle splendide vetrate che dall’esterno non parevano proprio.
Infatti è dentro la cupola che la meraviglia ti cattura, con le vetrate multicolori rappresentanti figure sante.
Scendendo nella cripta persino un miscredente come me fu conquistato dal luogo: la statua del Cristo orante illuminato da una luce particolare che proveniva dall’alto della cupola e dalle lampade inserite in anfore rende l’ambiente adatto a quel famoso “timor di Dio” atto a farti sentire piccolo piccolo e a complimentarti coi preti, capaci di creare atmosfere particolari usando sapientemente le proporzioni, i numeri eccetera, mica fessi.
Fuori il “solito” panorama meraviglioso del golfo di Salerno, dalla costiera amalfitana e l'isola di Capri fino al promontorio di Agropoli.
La giornata fu sicuramente piena di emozioni e come sempre volgeva al termine.
Riprendemmo la discesa che ci avrebbe portato ad una rinfrescante doccia, questa volta in folle per godere del frinire delle cicale, quando udii delle grida di richiamo. Fermai l’auto ed ecco che vidi due “pazzi” in parapendio che si urlavano in dialetto con l’eco che riportava indietro le loro parole distorte al punto che sembravano richiami di uccelli preistorici.
Sì una giornata piena.
Tornammo a casa in tempo per questo splendido tramonto sulla baia di Trentova, verso Capri.